La proiezione nella mattinata di sabato 2 ottobre al Petruzzelli de La Terrazza di Ettore Scola, in edizione restaurata dalla Cineteca Nazionale nel 2015, è stata occasione per presentare al pubblico il volume dedicato a Scola della rivista quadrimestrale del centro sperimentale Bianco e nero. L’incontro si è snocciolato in una piacevole carrellata degli ospiti, redattori della rivista, nei racconti e nei ricordi di chi ha avuto il piacere d l’onore di incontrare, vivere e amare Ettore Scola.

L’attualità de La Terrazza, anno 1980, è sconvolgente e pensare che «quando uscì nelle sale, il film fu distrutto dalla critica – commenta Felice Laudadioin tutta questa edizione del Bif&st abbiamo voluto celebrare Ettore a cinque anni dalla scomparsa e a novanta dalla sua nascita. Fu regista e scrittore per sé e per altri di opere acute e sarcastiche. Per il Bif&st è stato sempre un presidente attivo».

«Ho conosciuto Ettore Scola negli anni Settanta in occasione di una festa di amici in comune – ha raccontato Jean Gilisin dall’inizio mi sembrò di conoscerlo da sempre. Nel 1983 abbiamo creato insieme l’ Annecy cinéma italien, un festival di cinema italiano in Francia, molti ospiti venivano perché a chiamarli era appunto Ettore Scola. Ne sono passati tanti tra cui anche Massimo Troisi».

Il volume di Bianco e Nero dedicato al regista e curato nella grafica di Alessandra Costa è stato creato durante il lockdown e raccoglie i contributi di chi ha avuto esperienza con Scola e con il suo cinema oltre ai suoi disegni e a un ricordo di Walter Veltroni. Veltroni è intervenuto il video call all’incontro al Petruzzelli. «Con Ettore, il mio è stato un rapporto filiale e di immensa stima. Lui c’è sempre stato nell’impegno civile e politico, con coerenza. Ha accompagnato le evoluzioni della sinistra italiana, a volte anche con sofferenza. A Ettore e al suo cinema devo molto. Era capace di portare a sintesi, in un punto di equilibrio, messaggi alti, profondi, rendendoli semplici. Era colto e popolare, tutti dovevano vivere e partecipare a quelle storie.

Nel volume, Luca Bandirali ha curato un saggio sul sodalizio di Ettore Scola con Armando Trovajoli: «Il tema della musica in Scola è importante e complesso. Il suo sodalizio con Trovajoli è stato un unicum nel cinema italiano. Hanno realizzato assieme 26 film. La musica nei film di Scola esprime l’interiorità dei personaggi andando oltre quello che vediamo accadere. Scola dava la possibilità a Trovajoli di personalizzare le musiche e lo coinvolgeva sin dalla fase di scrittura del film».

Alberto Anile ha raccontato delle vicissitudini dei film nel cassetto del regista tra cui il film ‘sovversivo’ su Giuseppe di Vittorio: «Per quel film aveva pensato a Marlon Brando. Era un film difficile da realizzare sia per la tv che per il cinema perché era troppo schierato».

Al Petruzzelli e nel volume, Oscar Iarussi ha raccontato di un compagno di viaggio di Ettore Scola, Fellini: «Entrambi inurbati, due generazioni differenti, entrambi arrivano a Roma e iniziano col disegno, poi la scrittura e la direzione. Avevano molti punti in comune, come l’attenzione per l’umanità e la capacità di coglierne la dimensione comunitaria. A questo approccio Scola aggiunge anche i tormenti di un’intellighenzia disorientata. Nel suo cinema si vede chiaramente la voglia di sperimentazione stilistica che nella post-modernità abbiamo perso.  La struttura circolare di film come La terrazza costruisce e decostruisce ed è un forte segno di modernità».

A concludere gli interventi, il ricordo di Scola nelle parole di affetto e stima della figlia, Silvia Scola: «Il pubblico era molto importante per mio padre. Quando scriveva pensava al pubblico e diceva che senza il pubblico il film non esiste. Scriveva per un bisogno civico, i valori etici e morali del neorealismo venivano portati nella forma della commedia perché tutto era volto alla verità e alla rivelazione dell’animo umano. Mio padre era molto generoso anche nei confronti del cinema di altri e dei giovani. Sentiva il dovere del trasferimento del suo sapere, il suo atteggiamento non era professorale ma era un desiderio, una necessità comunicativa la sua, per questo manca a tutti».