“Non affitto a extracomunitari e a persone del Sud Italia”. È stato liquidato così, Fabio De Pinto, con un messaggio privato su Facebook che l’ha riportato indietro nel tempo. Indietro di decenni, quando nel dopoguerra le discriminazioni nei confronti dei meridionali partiti per il Nord erano cosa comune. Fabio De Pinto è un ragazzo di 27 anni, originario di Bari, che si è trasferito a Milano per frequentare una scuola di cucina. Si è iscritto a una serie di gruppi Facebook alla ricerca di un alloggio, e ha interagito con quanti offrivano sistemazioni.

Fino a imbattersi nel messaggio discriminatorio: “Sono orgoglioso di essere chiamato terrone, per me non è un’offesa – dice adesso – tanto che in un primo momento non ho dato peso a quella risposta”. Con il passare delle ore, però, il malumore è aumentato. E De Pinto ha deciso di denunciare pubblicamente l’episodio, raccontando la sua esperienza sui gruppi per gli affitti a Milano – comunità che raggiungono 300mila membri – e facendo anche il nome del suo interlocutore: “L’ho fatto anche per evitare che gli altri si trovino in situazioni spiacevoli come quella capitata a me”. Il risultato è che ora De Pinto è ancora alla ricerca di una casa, “ma per fortuna ho parenti, amici e anche la fidanzata a Milano”.

Nel frattempo, però, gli attestati di solidarietà non sono mancati: “Mi ha scritto tanta gente, anche tanti milanesi che ci hanno tenuto a dirmi che loro non sono così – spiega – qualcuno mi ha messo a disposizione anche il proprio alloggio, ma ho rifiutato perché lontano dalla zona che mi interessa, quella più vicina alla scuola che frequento”. Il 27enne barese non demorde, perché più che un commento discriminatorio può il suo sogno: “Ho lasciato un lavoro a tempo indeterminato per un’azienda di trasporti al porto di Bari, mi occupavo dell’amministrazione – dice – proprio perché voglio specializzarmi in cucina”.

E però la sua terra d’origine non la dimentica, soprattutto se si tratta di difenderla. “Ho avuto il dubbio che a un certo punto la persona che mi ha scritto quel messaggio offensivo fosse un troll, un account fake – riflette – ma la sostanza non cambia: dietro c’è sempre qualcuno che si diverte a fare del male a gente in difficoltà”.