L’ex presidente del Bari Calcio, Gianluca Paparesta, ha intrapreso un’azione legale nei confronti del club non con l’obiettivo di ottenere rimborsi, ma per conoscere se l’operazione che ha portato al vertice della società l’imprenditore Cosmo Giancaspro sia stata regolare. Lo ha spiegato lo stesso Paparesta incontrando i giornalisti in un albergo cittadino.

“Inaspettatamente – ha detto Paparesta – sono venute fuori notizie legate ad una azione giudiziaria intrapresa da me e mio padre Romeo perché si pensava volessi un rimborso, un pagamento per la cessione delle quote. L’azione intrapresa con i miei legali è stata avviata – ha spiegato – non perché voglio rimborsi: voglio solo che una persona terza mi dica se avevo diritto a conservare le mie quote di socio del Bari nella sua totalità o se è giusta l’operazione che è stata fatta”.

Nel futuro del Bari, accanto alle gare di campionato, si giocherà quindi una complessa partita giudiziaria tra ex soci. L’ex arbitro Gianluca Paparesta spera, attraverso il giudizio in tribunale, che gli sia riconosciuta la possibilità di riprendere l’intero pacchetto del Bari calcio, il 95%, che deteneva fino al 22 giugno.

In questa che si preannuncia come una delicata battaglia legale, l’ex presidente dei pugliesi è affiancato da un pool di avvocati guidato dal professor Vincenzo Donativi e da una cordata di imprenditori pronti a investire nel club in caso di esito vincente nel contenzioso. Con una conferenza stampa fiume, in un albergo cittadino, Paparesta ha chiarito che l’azione giudiziaria riguarderà sia l’ingresso in società dell’attuale presidente Cosmo Giancaspro, nel dicembre 2015, sia l’aumento di capitale del giugno scorso, passaggio che ha cambiato gli assetti, relegandolo a una percentuale di azioni da socio di minoranza. Nel corso dell’incontro, Paparesta si è difeso dalle accuse ricevute in questi mesi, “non sono scappato”, ha descritto le difficoltà delle trattativa con il malese Noordin Ahmad (“stiamo valutando la possibilità di una azione legale” in merito al preliminare sottoscritto ad aprile e poi saltato), tirando in ballo la “legislazione antiterrorismo e antiriciclaggio essendo la Malesia un paese offshore”; ha rivendicato la legittimità del suo stipendio come presidente, “pari a quello che prendevo da opinionista sportivo”. Infine, ha chiarito che la costituzione di una società esterna per la gestione del merchandising ha portato in un anno a solo circa seimila euro di utili, ed era stata formalizzata nell’ambito di un accordo tripartito con la Nike, sponsor tecnico del club, che sua volta aveva garantito forniture per le squadre sociali e per le società dell’Academy.