Contrordine su tre imprenditori coinvolti nel blitz “Codice Interno” della DDA di Bari, a seguito del quale il 26 febbraio scorso sono state arrestate 135 persone. Il Tribunale del Riesame ha annullato infatti l’ordinanza cautelare a carico del coratino Giuseppe Maldera e dei due imprenditori baresi Francesco Frezza e Alberto Bellizzi per mancanza di gravi indizi.

All’epoca dei fatti contestati presidente del Corato Calcio, Maldera era finito ai domiciliari con l’accusa di aver intrattenuto rapporti con i clan finalizzati all’alterazione di risultati sportivi per godere di vantaggi nei campionato ma anche allo scopo di arricchirsi. Sotto la lente di ingrandimento almeno due partite della squadra neroverde: la prima è la finale playoff del torneo di Promozione giocata nell’aprile del 2017. Sul campo la partita terminò 1 a 0 per il Corato contro la Fortis Altamura. Al termine della stagione entrambe furono comunque ripescate in Eccellenza dando vita ad un altro confronto, segnatamente nell’ottobre del 2018, quando vinse la Fortis dell’allora direttore generale Giuseppangelo Barracchia, anch’egli finito in carcere anche per altri reati e per la sua vicinanza al Clan Parisi di Bari.

In mancanza di gravi indizi Maldera, difeso dall’avvocato Mario Malcangi, è dunque tornato in libertà.

Francesco Frezza e suo suocero Alberto Bellizzi erano viceversa finiti agli arresti domiciliari per una presunta asta giudiziaria truccata relativa alla vendita di un capannone a Matera, a luglio 2018. Asta che, secondo la Procura di Bari, sarebbe stata pilotata con lo zampino della mafia.

Assistiti dagli avvocati Michele Laforgia e Federico Straziota, i giudici hanno accolto i ricorsi ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza. «Tra Frezza e gli esponenti del clan Parisi non risulta alcuna collusione e neppure reciproco scambio di favori», ha motivato la difesa. Il suo unico obiettivo nella procedura era recuperare il credito vantato nei confronti della società fallita proprietaria del capannone all’asta.

Per quanto attiene Bellizzi, la difesa ha chiarito la natura del rapporto con Tommaso Lovreglio, il figlio del boss di Japigia ritenuto l’artefice del raggiro: la società di Bellizzi da più di vent’anni si occupava della manutenzione dei bus Amtab, di cui Lovreglio era dipendente. E sarebbe stato Lovreglio a parlare a Bellizzi della questione dell’asta giudiziaria, chiedendo di incontrare il genero. Anche per Bellizzi, dunque, l’ordinanza cautelare è stata annullata, con riqualificazione del reato da turbativa d’asta in astensione dagli incanti con l’aggravante mafiosa.