Con dichiarazioni spontanee, ha iniziato a chiarire fatti e circostanze nelle quali è stato coinvolto dalla magistratura, e si è detto disponibile a rispondere agli inquirenti appena avrà avuto conoscenza di tutti gli atti d’indagine. È questa la posizione, resa nota dai suoi legali, dell’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri, arrestato lunedì scorso nell’ambito di una maxi operazione, coordinata dalla DDA, sul presunto scambio elettorale politico-mafioso, in relazione alle elezioni comunali di Bari del 2019. Attualmente detenuto nel carcere di Brindisi, l’indagato ha deciso per il momento di non rispondere alle domande del Gip, Alfredo Ferraro, in sede di interrogatorio di garanzia.

Secondo l’accusa, Olivieri avrebbe raccolto i voti della criminalità organizzata barese, nello specifico dei clan Parisi-Palermiti, Montani e Strisciuglio, per permettere l’elezione della moglie, Maria Carmen Lorusso, al consiglio comunale di Bari. La donna, ora ai domiciliari, venne poi effettivamente eletta nelle file del centrodestra, salvo poi passare nella maggioranza di centrosinistra a sostegno dell’attuale sindaco Antonio Decaro. Finito ai domiciliari anche il padre, l’oncologo Vito Lorusso, indagato in questa ed in un’altra inchiesta, legata alla sua professione.

L’indagine, che ha portato all’esecuzione di 130 misure cautelari, ha fatto luce sui presunti legami tra malavita barese e colletti bianchi. Coinvolta anche l’Amtab, la municipalizzata che gestisce il servizio di trasporto pubblico, all’interno della quale, secondo le accuse, il clan Parisi avrebbe indirizzato le assunzioni del personale, per favorire parenti e amici.

L’azienda, attualmente in amministrazione giudiziaria, ha avviato quattro procedure di sospensione in attesa del completamento di alcuni procedimenti disciplinari. Sospese dal servizio, sempre come conseguenza dell’inchiesta antimafia, anche due agenti della Polizia Locale di Bari. Dalle carte nelle mani della Procura, sarebbe infatti emerso che le vigilesse si sarebbero rivolte ad un fedelissimo del clan Parisi, Fabio Fiore, ex autista del boss Savinuccio, per “punire” un automobilista che, dopo aver commesso un’infrazione stradale, le aveva pesantemente insultate. La macchina dell’uomo venne successivamente rubata e fatta ritrovare il giorno stesso della denuncia.