Un film dentro la guerra, una guerra che non si vede ma si sente, fuoricampo e sulla pelle. Le inquadrature fisse e pochissimi movimenti di macchina quasi impercettibili a raccontare vite perennemente a contatto con la morte.
Notturno perché in un tempo e in luoghi sospesi e bui, sembrano attendere tutti qualcosa. Magari l’alba o solo la fine. Del giorno, della guerra, di tutto. Notturno di Gianfranco Rosi è una storia che solo i bambini, i pazzi e il teatro possono raccontare e Rosi sceglie di farlo in un film non-film, come tutti i suoi lungometraggi. Documentari che sono cinema a tutti gli effetti, pur non stando nei parametri, a detta dei puristi.
«Notturno è nato da quel poco che scrivo – ha raccontato Gianfranco Rosi nella masterclass che ha fatto seguito alla proiezione del film per il pubblico del Bif&st 2021, nella mattinata di venerdì 1° ottobre al Petruzzelli – io non scrivo mai sceneggiature, non lavoro con gli attori e procedo per sottrazione».
«Notturno è un viaggio durato tre anni – ha  commentato il regista – i luoghi in cui abbiamo girato tra Siria, Kurdistan, Libano e Iraq non sono citati in didascalia volutamente. I confini, più che geografici, sono confini delle storie dei personaggi veri che appaiono nel film. I primi sei mesi ho girato in quelle terre senza cinepresa, proprio per incontrare quelle otto storie, in luoghi, con lingue e con problemi diversi».
Rosi ha riconosciuto il senso di spaesamento per lo spettatore: «Non è casuale,  è voluto. Le ambientazioni differenti e non indicate e lo spazio dei silenzi devono essere colmati dallo spettatore. È un gran lavoro che richiede impegno».
«Per me il tempo del film è il tempo dell’incontro negli anni  – ha continuato il regista  – nel tempo che passa si costruisce il senso della vita che passa. Se bloccato in un fotogramma diventa altro».
In merito all’idea di documentario, Rosi ha rivelato: «A me non interessa la differenza tra documentario e finzione ma la differenza tra ciò che è vero e ciò che è falso, che ha a che fare con la distanza etica e politica. Fare il regista per me non significa riprendere costantemente ma anche perdere qualcosa, piazzare la cinepresa ad un certo punto e aspettare che  qualcosa accada. A volte servono anni per capire cosa e dove girare ma quando giro, quella è la sintesi. Non credo nel cinema del reale né nella macchina a mano e nelle riprese sporche per un documentario.  Un documentario è comunque cinema e deve creare una realtà attraverso la sospensione e la costruzione di archetipi. Tempo, attesa, la distanza nel racconto e relazioni sono le cose che contano per me e nel mio modo di fare cinema».
In conclusione Rosi ha aggiunto: «Non ho voluto raccontare la guerra, la guerra è un’eco di sottofondo, fuori dell’inquadratura perché la guerra accade in un posto ma l’onda d’urto arriva a centinaia di chilometri di distanza nel quotidiano  di donne, uomini, figli, madri, ecc. Notturno è un film di inizi, non c’è mai una conclusione perché in quel mondo con tutti i drammi nulla si conclude mai».
Qualche indiscrezione sul prossimo lavoro? «Ho scritto un soggetto ma non ho iniziato a girare. Posso dire che questa volta torno in Italia».
La masterclass di Rosi, che ha raccontato anche molti altri retroscena dei suoi film – è stata una lezione di cinema appassionata e fuori dagli schemi. È  emerso un punto di vista e un’idea del regista del suo lavoro come di una vera e propria responsabilità di raccontare e portare alla luce storie quotidiane, lontane, sconosciute ma che comunque direttamente o indirettamente ci riguardano.
 
Il Bif&st ha assegnato a Gianfranco Rosi il Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence.