“Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, la situazione era già molto difficile, adesso sta raggiungendo un punto di non ritorno”. E’ il grido d’allarme degli allevatori pugliesi, travolti da una crisi senza precedenti nel settore, dopo l’aumento esponenziale dei prezzi dei prodotti utilizzati per nutrire il bestiame. “I costi sono diventati una follia” dicono dalla CIA, la Confederazione Italiana Agricoltori. “E’ in atto una speculazione feroce: in tre giorni il prezzo del mais che occorre agli allevamenti è passato da 35 a 60 euro, l’ultimo prezzo rilevato stamattina.

A queste condizioni, le stalle dovranno chiudere e il bestiame portato al macello prima che deperisca per mancanza di nutrimento. Il farinaccio, altro prodotto utilizzato dagli allevatori, è salito da 12 a 30 euro in pochi giorni. Stessa cosa per i mix di mangimi all’interno dei quali sono utilizzati, ad esempio, il favino e il pisello proteico. I costi di questi prodotti, così come quello degli integratori alimentari per il bestiame, stanno registrando incrementi che arrivano anche al 100%. Gli allevatori pugliesi si trovano adesso di fronte al dilemma se chiudere o indebitarsi fino al collo per sostenere le loro attività. I danni sarebbero incalcolabili, con effetti irreversibili nella maggior parte dei casi”.

A rischio collasso c’è anche l’intero comparto lattiero-caseario pugliese che conta oltre 2mila aziende con vacche e bufale e circa 3mila imprese con ovini e caprini da latte. In poche settimane – proseguono dalla CIA – gli effetti devastanti della crisi che colpisce gli oltre 9mila allevamenti pugliesi si riverseranno anche sulle 200 unità di trasformazione e raccolta del latte in tutta la regione.

A peggiorare il quadro, nel foggiano, c’è anche quella che alcuni definiscono come “la guerra del grano”. Ieri, alla Borsa Merci della Camera di Commercio di Foggia, i produttori hanno avuto la peggio all’esito del voto in commissione. Avevano chiesto un aumento del prezzo del grano duro di 15 euro a tonnellata, per poter rientrare almeno in parte dal vertiginoso aumento dei concimi (il costo dell’urea è arrivato a oltre 150 euro al quintale). L’aumento concordato, invece, è stato di soli 5 euro a tonnellata, con una distanza marcata dai 15 euro richiesti dai produttori. “In questo modo – ha dichiarato Silvana Roberto, vicepresidente CIA di Capitanata – gli investimenti resteranno bloccati e i produttori di grano non riusciranno a rientrare almeno in parte dall’aumento folle di tutti i costi di produzione”.