«Sono sempre più numerosi i marchi prestigiosi come Divella, Ghigi, Valle del grano, Jolly Sgambaro, Granoro, Armando, oltre al marchio napoletano “Voiello”, che fa capo al Gruppo Barilla, che ora vende solo pasta fatta da grano italiano al 100% di varietà “aureo, che hanno dimostrato di credere in percorsi di filiera per fare pasta ‘made in Italy’ con grano italiano.
Ma evidentemente è un percorso che va alimentato – denuncia Gianni Cantele, Presidente di Coldiretti Puglia – dato che sono ancora troppi i quantitativi di grano importato dall’estero. Basti pensare che dal 17 dicembre al 26 dicembre arriveranno al porto di Bari 3 navi da Vancouver per scaricare oltre 120mila tonnellate di grano canadese. Gli accordi di filiera che si stanno proponendo in queste settimane sono la prima risposta concreta e utile a rafforzare la qualità delle produzioni, elemento sostanziale che sulla carta porterà alla riduzione delle importazioni. L’Italia è il principale produttore europeo di grano duro, destinato alla pasta con 4,8 milioni di tonnellate su una superficie coltivata, pari a circa 1,3 milioni di ettari ma sono ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero e di queste oltre la metà per un totale di 1,2 milioni di tonnellate arrivano dal Canada, con note marche che lo usano in maniera esclusiva, facendone addirittura un elemento di distintività. Il risultato è che quasi un pacco di pasta fatto in Italia su cinque è fatto con grano canadese che continua ad essere trattato con glifosate nonostante il divieto imposto in Italia».

Il 22 agosto scorso è scattato in Italia il divieto ad utilizzare il glifosate, principio attivo usato principalmente in USA e Canada per garantire “artificialmente” un livello proteico elevato e sospettato di essere cancerogeno, ma occorre ora estendere il divieto anche al grano trattato con il glifosate che viene importato da questi paesi per fare pane e pasta italiani senza che i consumatori lo sappiano. Nei primi quattro mesi del 2016 gli arrivi di grano in Italia sono aumentati del 10 per cento, finalizzati soprattutto ad abbattere il prezzo di mercato nazionale attraverso un eccesso di offerta. Un comportamento reso possibile dai ritardi nella legislazione comunitaria e nazionale che non obbliga ad indicare la provenienza del grano utilizzato in etichetta. Così quasi un pacco di pasta fatto in Italia su cinque è fatto con grano canadese che continua ad essere trattato con glifosate, nonostante il divieto imposto in Italia.

«Chiediamo risposte immediate, quali l’etichettatura obbligatoria della pasta, del pane e dei prodotti da forno in genere – incalza il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti- il blocco delle importazioni a dazio 0 e il 100% dei controlli sul grano importato, la moratoria bancaria ed interventi finanziari per le imprese cerealicole, l’attivazione immediata della CUN nazionale cerealicola con base logistica a Foggia, il granaio d’Italia, e sostegni pubblici solo alle imprese che lavorano grano italiano. Nel giro di un anno le quotazioni del grano duro destinato alla pasta hanno perso il 43 per cento del valore mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione. Un crack senza precedenti con i compensi degli agricoltori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pasta o pane Made in Italy, per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la reale origine del grano impiegato».

Il provvedimento del Ministero della Salute – continua la Coldiretti – prevede anche il divieto di utilizzazione del principio attivo in Italia nelle aree frequentate dalla popolazione o da “gruppi vulnerabili” quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie.
Il Decreto ministeriale – continua Coldiretti – obbliga all’ inserimento nella sezione delle prescrizioni supplementari dell’etichetta in caso di impieghi non agricoli, della seguente frase: “divieto, ai fini della protezione delle acque sotterranee, dell’uso non agricolo su: suoli contenenti una percentuale di sabbia superiore all’80%; aree vulnerabili e zone di rispetto, di cui all’art.93, comma 1 e all’art.94, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152”. Infine, il Decreto ministeriale ordina la revoca, sempre dal 22 agosto 2016, della “autorizzazione all’immissione in commercio ed impiego di 85 prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosate ed il coformulante ammina di sego polietossilata.