La differenza tra chi parte e chi resta è negli orizzonti, perché chi parte diventa un uomo e chi resta rimane bambino.

In questi due assiomi, non evidentemente così logici né consequenziali, contrariamente a quanto possano sembrare, si condensa la condizione di una comunità intera, un malessere sociale che ha portato alla mitizzazione della fuga verso un altrove che, per dirlo con le parole di Bernard-Marie Koltes, è sempre più in là, un approdo che è sempre da qualche altra parte, una speranza che è ogni giorno più lontana da dove si è arrivati l’ultima volta. Muccia di Michele Bia con Franco Ferrante è questa storia. Una storia di precariato, di migrazione obbligata, di speranze da cercare sempre più a nord.

Di base c’è una storia vera, quella di un ragazzo del sud ingenuotto che perde un lavoro vero, stabile e dignitoso e inizia a (soprav)vivere di espedienti. Quando tutti intorno a lui inizieranno a partire per Milano – perché qui al sud non c’è nulla – lui resiste perché crede (ancora) nel lavoro, nei contributi, nelle ferie pagate, salvo poi doversi destare dal sogno, per svegliarsi in una realtà decisamente diversa, costretto a partire, a trovare una sistemazione, a diventare uomo.

Quello che meraviglia di Muccia non è tanto che la vicenda e il personaggio siano ispirati a fatti e persone reali, quanto che il testo di Bia risalga a circa quindici anni fa e che ormai annovera in scena più di 350 repliche in tutta Italia. C’è da chiedersi istintivamente se Michele Bia e Franco Ferrante abbiano saputo intercettare e decifrare e quindi raccontare un malessere sociale in tempi non sospetti o se in realtà nulla da allora sia cambiato. Forse un po’ di entrambe le situazioni. Fatto sta che Muccia porta in scena tuttora e ancora lo spaccato di una condizione di disagio sociale attuale, probabilmente, oggi più di allora.

A questo punto e stando così immutabili e immutate le cose, verrebbe da cedere alla disperazione, se non fosse che Michele Bia in scrittura e Franco Ferrante in scena sanno tirar fuori da una vicenda dai tratti generali comuni e condivisi, quel riso amaro necessario a prenderne le distanze, a inquadrare tutto in un’ottica differente, per guardarsi dall’esterno, riderci su e magari pensare che alla fine andrà tutto bene e se non va bene non è ancora la fine. Muccia commuove o provoca risate, Muccia emoziona perché se Michele Bia è un maestro con le parole, Franco Ferrante si dona generosamente al personaggio senza riserve, scatenando una potenza scenica e narrativa, con le parole e con il corpo e facendo di Muccia uno spettacolo di impatto, uno schiaffo in pieno viso che possa svegliarci. Perché è questo che fa il teatro e che il teatro fa: raccontare le asperità della vita per smussarne gli angoli e renderla più sopportabile.
Muccia è stato realizzato nell’ambito del progetto “Vite precarie e tempo di narrare”, organizzato dalla Università degli Studi di Bari ed è stato selezionato per il progetto INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA SCENA nato dalla collaborazione tra Teatro Elfo Puccini di Milano e Teatro Pubblico Pugliese.