Pasquale Fiore è stato riconfermato alla guida della FAI Cisl Bari e con lui eletti in segreteria. Le nomine sono giunte al termine della giornata congressuale svoltasi a Bari alla presenza dei delegati e dei segretari generali della UST Cisl Bari Giuseppe Boccuzzi, della FAI Cisl Puglia Paolo Frascella e della Fai Cisl Nazionale Luigi Sbarra

Molti gli argomenti toccati dalla relazione del segretario generale Fiore, dalla contrattazione di secondo livello, alla necessità di aumentare i momenti di formazione, all’opportunità di sviluppare nuovi percorsi di welfare aziendale. Il segretario generale ha parlato di bilancio positivo del lavoro svolto in questi anni nel rappresentare gli oltre 4mila iscritti lavoratori e ha individuato per il futuro la centralità del lavoro sul territorio e della persona

“La persona non può vivere in maniera dignitosa senza il lavoro – ha detto Fiore – ed il lavoro, in quanto destinato a persone, deve salvaguardare la dignità delle stesse. Il lavoro non può, perciò, essere sfruttamento, schiavitù, abuso, sopraffazione. Oggi – ha poi sottolineato – dobbiamo mettere al centro la persona inserendola in una strategia sindacale che implica l’ntensificazione del ruolo sindacale nelle dinamiche economiche e nel confronto con la politica. Il programma di lavoro per il futuro sarà costruito proprio a partire da queste nuove forme di responsabilità”.

Il Congresso segna per Fiore, la conclusione di un percorso piuttosto lungo trascorso nella Federazione Federazione, iniziato con la vecchia FISBA ed approdate poi alla nascita, nel 2001, della FAI e con essa ha potuto vivere la straordinaria esperienza dell’Industria alimentare e contestualmente il proseguimento su un solco già tracciato.

Mesi importanti che hanno visto la CISL compiere scelte organizzative e politiche che le hanno consentito di riappropriarsi del ruolo guida nel confronto istituzionale, come l’accordo sulla Previdenza, da definire ancora l’Ape Social ed i lavori usuranti per i lavoratori agricoli, della pesca.

Siamo ancora in piena crisi e un po’ tutti gli indicatori ce lo confermano: gli investimenti sono calati dal 2008 al 2014: meno 34,38%. Gli squilibri territoriali ( Nord – Sud) si sono acuiti, così come si è acuito il divario tra grande e piccola industria. Solo il 20% delle imprese ha standard competitivi eccellenti, mentre l’80% fa fatica a reggere la competizione. Timida ma interessante la ripresa del PIL a più 0,9 nel 2016 . Continua ad essere ferma la domanda interna, calano gli investimenti.
In tale contesto, solo l’Industria agroalimentare si conferma fattore insostituibile di crescita.

Il settore agroalimentare mostra segni positivi sotto il profilo occupazionale, sociale, economico e produttivo.

Il rapporto INEA-SVIMEZ di questi giorni ci dice che il Sud riparte grazie all’agricoltura e questo comparto cresce al sud più di quanto cresca al nord (+7,3% contro +1,6.%).
Ottimo l’export; bene gli investimenti (+10% nel 2016 sul 2014); aumenta l’occupazione, specie giovanile (+9,1%) ( +20% facoltà di agraria). Il trend va incoraggiato con politiche di sostegno e fiscali.
Restano sempre buone le performances del polo pastaio molitorio dove si realizzano aumenti dei volumi produttivi e degli investimenti (Riscossa ,Granoro, Barilla, Casillo e Oropan) del beverage (Peroni) del polo caseario industriale (Granarolo,New Gioiella). Oggi l’agricoltura non si identifica più solo con la coltivazione dei campi. Vuol dire anche produzioni biologiche, denominazione di origine controllata e protetta, ecc.
Quella del caporalato è una ferita profonda che si riapre, come sta accadendo in questi giorni, ogni qualvolta la cronaca ci riporta a fatti accaduti: gli arresti a Taranto, i provvedimenti giudiziari nel Barese legati ai fatti di Andria, le proteste dei titolari di magazzini ortofrutticoli che non vogliono che si faccia di tutta l’erba un fascio.
“Ci sono tante aziende- aggiunge Fiore – serie che fanno valore aggiunto, che creano occupazione. Bisogna avere, però, il coraggio di osare di più. Oggi, le aziende che vogliano fare la differenza, se vogliono differenziarsi, devono ragionare in termini di adesione alla rete di qualità del lavoro agricolo che veda una cabina di regia decentrata sul territorio. Inoltre le aziende agricole che vogliano iniziare o continuare ad essere virtuose devono rinunciare all’uso dei voucher ed utilizzare meglio e di più lo strumento contrattuale per porre problemi e trovare le risposte giuste.
Se la legge sul caporalato ha dato una grande risposta a quel caporalato strutturato ed organizzato in maniera para delinquenziale, resta in piedi l’altra forma di caporalato, ben definita dal nostro Segretario Generale, caporalato cartaceo e rappresentato, dicevo, dai voucher. Noi siamo contrari all’utilizzo dei voucher in agricoltura. E’ vergognoso l’utilizzo che degli stessi ne è stato complessivamente fatto, passando dai 55 milioni di voucher del 2014 ai 121 milioni del 2016. Siamo contrari ai voucher perché gli stessi destrutturano il lavoro agricolo ed è diventata la forma più flessibile e precaria di rapporto di lavoro ai livelli mai raggiunti prima.”